Per comunicare: DOCTOLIB, assistiti@studio64.it, 351.727.4979

Relatore al Rotary: Il rapporto medico-paziente

La presentazione

Dottore milanese di 58 anni con 30 anni di esperienza ospedaliera, prima in un Servizio di Medicina Interna in un istituto di ricovero per disabili e poi per 22 anni in una U.O. di Riabilitazione Specialistica(cardiologica, pneumologica, ortopedica e neurologica). 

Provenienza orgogliosa dalle case popolari di un comune “in riva alla città” di Milano (citando la Premiata Forneria Marconi). Il primo laureato dei un quartiere in stile ”Quarto Oggiaro” e l’unico Medico. 

La gavetta medica è stata quella di una volta: prelievi, guardie notturne e sostituzione di altri medici di base o ospedalieri.

Alcuni eventi sono stati e sono per me indimenticabili:

– Il passaggio in Croce Verde a Trezzano sul Naviglio dove ho imparato la rianimazione e dove ho giocato a ruba bandiera in mezzo alla strada con i volontari.

– Conoscere e sposare mia moglie Annarita, infermiere e mio sostegno, donna difficile ma di cui mi posso fidare ciecamente, artefice dello stile del mio studio medico.

– I miei due figli: Giacomo (Psicologo) e Giorgio (Perito Agrario) anche loro mio sostegno e miei primi critici.

– La scelta di affrontare da volontario la prima ondata della pandemia, per non abbandonare chi aveva bisogno (un pò come i colleghi in terre martoriate dalla guerra), senza nasconderminonostante qualche rischio per la vita.

– La depressione che mi ha colto alla fine della prima ondata (non parlavo più) e che ora è un ricordo grazie ad una piccola pastiglia.

– Il passaggio dall’ospedale al territorio

La relazione

Secondo me: il rapporto medico-paziente

All’inizio del mio lavoro di medico di famiglia pensavo che le cause del deteriorato rapporto medico-paziente fossero equamente distribuite tra i due poli di questa relazione. A seguito di quest’anno trascorso lavorando come medico di famiglia ho invece l’impressione che la responsabilità di questo deterioramento sia attribuibile maggiormente al medico. Questo in virtù del suo ruolo all’interno di una relazione che non è per definizione paritaria e di cui dovrebbe essere il conduttore. Le cause di questo sbilanciamento possono essere ricondotte alla disaffezione verso il lavoro di medico ed alla carenza di empatia, spesso poco esercitata, nei confronti del paziente. Penso sempre che il lavoro del medico debba spingersi oltre le difficoltà, siano esse oggettive o soggettive. Essere medico è dedizione, sacrificio ed è disponibilità verso il prossimo. In una certa misura, tutte le attività sono avversate dal carico di lavoro, dalla burocrazia e dalla ripetitività. A questo si aggiunge, da parte del paziente, una buona dose di dis-educazione, che a volte prende la forma di una mal-educazione. Inoltre, è naturale  che il medico possa avere problemi personali o familiari, e debba fare i conti con l’età che avanza nonostante ciò che gli è richiesto non si riduca. Nonostante tutto, è esattamente questo il motivo per cui bisogna reagire e cominciare ad essere proattivi. La resilienza, ovvero la capacità di reagire alle avversità, è oggi sulla bocca di tutti, ma si tratta di un’abilità complessa che richiede tempo e fatica per essere sviluppata. Per questo motivo, reputo più utile ed efficace la proattività. Per esercitarla penso si debba in primo luogo far riferimento all’etica della professione, aggiornare i metodi di organizzazione del proprio lavoro e quindi provvedere alle necessità degli assistiti assumendo un’ottica di comprensione e anticipazione. A mio parere, il punto focale di questo approccio è la ricerca di un equilibrio fra la propria personalità e professionalità, e quello di cui l’assistito ha bisogno, non solo nel momento in cui veste il ruolo di paziente ma anche quando è semplice assistito. Nello stesso tempo è utile essere proattivi nel combattere la dis-educazione: con regole precise e chiare, imposte con fermezza ed empatia. Questo un concetto che mi sento di sintetizzare nella frase: “La correttezza di una assistito concorre alla bontà del suo medico di famiglia”. Medico e Paziente possono allora ricercare una COMFORT-ZONE comune che consenta di avere il miglior rapporto al fine della cura. In questa comfort-zone medico e paziente devono condividere il problema, cercare insieme delle soluzioni, e collaborare nella cura. Un incontro fra tecnica (del medico) e compliance (del paziente) condita da empatia. Tutto questo con il presupposto della “fiducia” e del “rispetto” reciproco (prerequisito da non dare per scontato e per cui bisogna lavorare). Cosa ostacola la costruzione di questa comfort-zone? Sul versante medico ci sono i TEMPI, che sono sostanzialmente determinati dal numero di assistiti e dall’organizzazione del proprio studio. Vi è poi LA MEDICINA DIFENSIVA, la “zavorra” che limita la responsabilità diretta sulla diagnosi. C’è poi la stanchezza e la demotivazione. È chiaro che la professione medica implichi il sacrificio, ma questo è messo a dura prova da continue richieste immotivate, dalla retorica del “tutto e subito” e da una buona dose di burocrazia. La motivazione risente della mancanza di un’adeguata gratificazione: terrei a ricordare che non è il compenso economico che fornisce energia e motivazione, bensì la consapevolezza del ruolo ricoperto e il riconoscimento del proprio impegno. Sul versante paziente una elemento che può ostacolare il rapporto medico-paziente è la CONSULTAZIONE ACRITICA DI INTERNET. Il web è una risorsa preziosa ma si presta facilmente a rivestire la parte dell’oracolo. Una persona alle prese con questioni di salute cerca di esser rassicurato davanti ad un ignoto che per lui è di fatto angosciante, ma il paziente non ha alle spalle una formazione in ambito medico e questo significa che le sue capacità di interpretazione e individuazione dei sintomi e delle cause rischiano di essere influenzate da ciò che viene trovato su internet; per questo è preferibile consultare il medico e affidarsi alla sua professionalità. Nel rapporto è il medico che è in grado di interpretare i sintomi ed inferirne le cause. Il medico, nel frattempo, lavora insieme al suo paziente nella costruzione di un rapporto di fiducia che agisca come fattore protettivo. Questo per introdurre l’altro elemento che disturba il rapporto medico-paziente: la PAURA delle conseguenze della malattia che induce un sentimento di ansia e il desiderio di risposte in tempi brevi. E questa pretesa non è sempre realistica. Ad aggravare la situazione ci si mette una società con valori in crisi, aggravata da una pandemia che ha istillato dubbi, esacerbato le paure e ha minato la fiducia. A questo aggiungerei la mancanza di un’educazione civica che insegni come la comunità possa e debba venire prima del singolo; come sia importante il rispetto delle regole. In conclusione: il primo passo per il recupero di un corretto rapporto medico-paziente dev’essere compiuto proprio dal medico, in forza del suo ruolo preminente all’interno di questa relazione. Il medico deve quindi essere empatico e proattivo, risoluto nel suo operato e fermo nelle sue decisioni. Da parte sua il paziente dovrebbe essere accogliente, consapevole del suo ruolo, che è anche quello di chiedere e scegliere, e compliante.